Oggi cade il quarantesimo anniversario dell’approvazione della legge 194 sull’aborto, che garantisce un diritto di scelta che ogni donna deve poter esercitare. Oggi, quarant’anni dopo, quel diritto rimane nei fatti ostacolato, intralciato, in sostanza negato. La questione è quella dell’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Esistono strutture dove l’obiezione è totale, altre dove l’iter per l’Ivg (Interruzione Volontaria della Gravidanza) è infinito, arrivando anche 5 mesi di gravidanza: un percorso tortuoso tra reparti, appuntamenti multipli, telefoni che non rispondono, psicologi, attivisti pro vita e infermieri ultracattolici che ti paragonano a un assassino.
Ora, se è l’obiezione di coscienza è un diritto, lo è anche la scelta della donna di abortire. Non lo dice un partito o un gruppo di attivisti, lo dice la legge. Allora perché negli ospedali un diritto sancito dalla legge sembra essere ancora un tabù? Perché dopo quarant’anni poco o nulla è stato fatto per garantire la piena libertà di scelta alle donne, così come accade per i medici obiettori?
Il problema è serio, e anche scomodo, perché apre una riflessione su quel modello conservatore su cui si fonda, e forse affonda, gran parte della nostra società, dal mondo della scuola, alla sanità, al lavoro. La fotografia è quella di una società civile che se ne frega di una legge, delle sue istituzioni, senza nessuna conseguenza, o, se vogliamo vederla da un altro lato, che vive in un contesto di pacifica connivenza.
Prendiamo l’esempio della Lombardia, dove la percentuale di professionisti che oggi si rifiutano di effettuare aborti supera il 70% (in alcune regioni del sud, così come a Bolzano, si arriva quota 80-90%). In Lombardia succede che, se vuoi abortire, ti fanno aspettare in una sorta di scantinato, definito dagli addetti ai lavori “lo scannatoio”, se invece ti rechi nel “Centro di aiuto alla vita” della stessa struttura sei accolto ai piani alti, al caldo, sui divanetti. Non è fantascienza, succede nella clinica di Milano più famosa per l’ostetricia e la ginecologia, come riporta un’inchiesta pubblicata da Il Fatto Quotidiano. In Lombardia la Regione sostiene più lautamente gli istituti che promuovono incontri con psicologi ed educativi, che solitamente avvengono in quelli religiosi (generalmente privati accreditati, che aumentano anno dopo anno sul nostro territorio) mentre penalizza con rimborsi meno corposi le visite ostetriche o ginecologiche, che invece sono l’attività principale dei consultori pubblici. Altra nota dolente è il bassissimo utilizzo della RU486, l’alternativa farmacologica all’Ivg chirurgica, metodo molto meno invasivo per la donna, che in molti casi non viene neanche proposto come metodo alternativo a quello chirurgico. La Lombardia è inoltre l’unica Regione che finanzia una misura economica di sostegno alle donne che rinunciano all’Ivg, il Nasko.
Insomma, è evidente come le finalità di una Legge ottenuta dopo un acceso dibattito pubblico che riguardò l’intero paese, sono ancora lontane dalla piena realizzazione. Nelle strutture pubbliche e nelle private accreditate servono medici non obiettori in grado di soddisfare il diritto di una donna, come prevede legge, senza se e senza ma, e il M5S si batterà perché in Lombardia le cose possano cambiare in questa direzione. Di fronte alla legge in teoria tutte le persone sono uguali, ma di fronte alla Legge 194 le donne diventano cittadine di serie B o C. Oggi questo è inaccettabile.
M5S Lombardia