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Domenica sempre aperti? In 6 anni persi 4 mila posti di lavoro. Ecco i dati reali del milanese

Da Repubblica Milano, articolo di Franco Vanni

Da quando nel 2012 il decreto Salva Italia del governo Monti ha liberalizzato le aperture domenicali dei negozi, qual è il conto? E’ sorprendente: a Milano supermercati, centri commerciali e megastore hanno licenziato 3.902 lavoratori.
Lo dicono i dati aggregati delle procedure di mobilità che sono state attivate dalle aziende fra le città e la provincia, dati poi raccolti dalla Camera del Lavoro. L’obiettivo dichiarato dall’allora presidente del Consiglio, e del suo ministro del lavoro Elsa Fornero, era “dare nuovo impulso all’occupazione, oltre che ai consumi”. Sul fronte occupazionale – limitandosi all’ambito milanese – l’obiettivo sembra fallito. E’ vero che manca la controprova: è impossibile sapere come fosse andata se il decreto non fosse stato varato. Ma il quadro è nitido. I posti di lavoro nella grande distribuzione invece di aumentare sono diminuiti. E mentre l’attuale ministro del Lavoro Luigi Di Maio, 5 Stelle, annuncia la chiusura coatta dei negozi la domenica, i sindacati fanno i conti sugli ultimi sei anni di serranda libera. Eccoli. Nel 2012 i posti di lavoro persi sono stati 486, l’anno successivo 515. L’anno peggiore è stato il 2014, con 973 lavoratori lasciati a casa dalle grandi catene. Anche il 2015 pesante, 902 posti persi. Nel 2016 e 2017 i lavoratori licenziati sono stati rispettivamente 385 e 446. E dall’inizio di quest’anno la tendenza non cambia, si è già arrivati a quota 195. Nello stesso periodo, le aziende hanno tagliato anche i compensi per il lavoro domenicale dei lavoratori. Volendo fare qualche esempio, fra chi ha cancellato, disdetto o rivisto al ribasso il contratto integrativo per quanto riguarda domeniche e festivi ci sono Carrefour, H&M, Mango, Gap. “Da noi, all’Auchan di Vimercate, un tempo la domenica si veniva pagati il 130 per cento in più rispetto alla normale giornata di lavoro, ora siamo scesi al 30 per cento – racconta un lavoratore – a conti fatti sono tra i 10 e i 15 euro netti. Non molti no, per chi guadagna tra i 900 e i 1200 euro al mese. I nuovi posti di lavoro annunciati nel 2012 non si sono visti, anzi. Da allora nel nostro negozio sono stati lasciati a casa 40 lavoratori, non sostituiti. Siamo rimasti in 209 e turniamo su sette giorni”. All’Auchan, come ovunque nella grande distribuzione, c’è chi arriva a lavorare più di 45 domeniche all’anno, riposando sempre in un giorno in settimana.
Nel regime precedente, previsto dal decreto Bersani, il numero obbligatorio di domeniche annuali da passare al lavoro era di 13. Poi, con la riforma del 2012, l’obbligo di domenicale (senza vincolo di numero) è stato inserito nei contratti. “Nel negozio di abbigliamento Zara in corso Buenos Aires c’è chi le domeniche le fa tutte, letteralmente – racconta una lavoratrice – io qui ho cominciato nel 2006, la domenica eravamo spesso chiusi. Dal 2012 invece siamo sempre aperti. Di weekend interi senza lavorare ne facciamo un paio l’anno ciascuno. Per noi mamme è un problema, come lo è per i meridionali che vogliono tornare a casa. E parliamo di lavoratori che non guadagnano cifre importanti. Con il part-time prendiamo 1000 euro al mede di paga, più circa 70 di bonus. Col tempo pieno a 40 ore settimanali se ne guadagnano 1200, sempre più bonus. Ogni domenica porta 10 euro in più in busta”.
Dice Marco Beretta, segretario Filcams Cgil di Milano: “Con ogni evidenza le liberalizzazioni non hanno portato più occupazione, anzi. Le aziende hanno licenziato ed è peggiorata la condizione generale dei lavoratori”. Quanto al progetto del ministro Di Maio di imporre la chiusura domenicale ai negozi, Massimo Bonini segretario della Cgil milanese commenta: “Una regolamentazione del lavoro la domenica e nei festivi è necessaria. Il commercio, in generale, non è un servizio di pubblica utilità. Questo non deve significare tenere chiuso tutto e sempre. In ogni realtà locale bisognerebbe reintrodurre dei tavoli di confronto tra istituzioni, aziende e sindacato per decidere i criteri e le rotazioni del lavoro festivo. Una proposta arriva dal lavoratore Auchan di Vimercate: “Si faccia come per le farmacie, con turni di apertura in ogni zona. Una domenica terrà aperto Esselunga, quella dopo Carrefour, poi toccherà a Unes e Pam. Sarebbe una soluzione razionale e civile. Federdistribuzione, che rappresenta le imprese del settore non ci sta. “Chiudere i negozi la domenica è incoerente – dice il presidente, Claudio Gradara – meno giornate di apertura indicano meno vendite e consumi. Quindi meno occupazione e meno investimenti”.

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