Saremo presenti, con forte spirito critico, alla giornata di lavoro di domani, 7 febbraio, ‘Expo per le Idee’. L’esposizione universale come grande opera strutturale ha fallito, precipitando in un gorgo di malaffare, di extracosti e speculazioni.
L’impressione è che dalle parti di Expo si stia facendo di tutto per fallire anche nei contenuti, nascondendo politiche utili solo alle multinazionali, le quali sanno solo ripetere con grande ipocrisia i ritornelli dello sviluppo sostenibile, dell’economia del cibo, delle smart e slow city, agendo in realtà in direzione diametralmente opposta. Expo, per esempio, ha siglato una partnership con Nestlè per diffondere 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla dell’evento. Che acquisteranno solo coloro che potranno permetterselo. L’acqua potabile è un bene comune e pubblico e un diritto di tutti e tutte, la vendita ingrassa le multinazionali ed Expo è diventata una delle tante vetrine per nutrire le multinazionali, non certo il pianeta.
Sono proprio le multinazionali, infatti, che producono cibo globalizzato (a danno delle tradizioni alimentari locali), di scarsa qualità alimentare, biologica e organolettica, e che distruggono le sementi millenarie di alto valore per la sopravvivenza dell’agricoltura sana e di qualità. E’ con l’agricoltura intensiva, indirizzata a produrre beni per le multinazionali, che si preparano cibi artefatti, sempre meno naturali, OGM, ridotti a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la macchina-uomo, e che sottostanno all’esigenza di produrre sempre di più per consumare di più, per fare solo sempre più profitto.
E’ necessario discutere di alimentazione per trovare soluzioni al drammatico e paradossale problema della fame nel mondo contrapposto ai problemi di sovralimentazione dei paesi ricchi. Expo, su questo, potrebbe aiutare, solo a condizione di discutere il tema escludendo le multinazionali!
Il cibo non può più, come oggi, essere ridotto a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la macchina-uomo, per cui le implicazioni ambientali e sociali passano regolarmente in secondo piano rispetto all’esigenza di produrre sempre di più per consumare di più. Un loop apparentemente inarrestabile e sicuramente mortifero dove anche la qualità organolettica e biologica dei cibi, soprattutto di quelli con cui ci alimentiamo quotidianamente, stenta sempre più spesso a raggiungere standard minimi accettabili.
Il cuore della discussione dovrebbe essere quello della sovranità alimentare e delle sementi (ne deriva necessariamente la sovranità energetica e monetaria).
La sovranità alimentare in particolare, per l’Europa e per ogni suo Paese, deve tornare come tema principale del dibattito politico e deve tornare il timone che guida ogni intervento in ambito di politica di sviluppo rurale rivolto ai Paesi membri.
E’ quanto mai necessario proporre un modello alternativo di produzione-consumo, in cui l’agricoltura intensiva non sia più il riferimento principale ma venga gradualmente ma rapidamente sostituita da un modello alimentare differente, capace di influenzare i modelli di produzione, di trasformazione e di distribuzione.
Non è fuori luogo ricordare che la crisi alimentare in atto nel mondo è l’effetto di una guerra alimentare. E la guerra alimentare è, innanzitutto, una guerra tra paradigmi: tra un modello industriale e uno ecologico, ma è guerra anche perché nega a un miliardo di persone affamate il diritto al cibo (mentre i Paesi avanzati dispongono di quantità eccessive di cibo, con evidenti danni alla salute e sprechi alimentari intollerabili) e ad altri due miliardi di persone, che soffrono di malattie legate al cibo, il diritto a un’alimentazione sana.
L’emergenza alimentare affonda le radici nella creazione di un sistema che crea deliberatamente carestia di sementi sottoponendo i semi a brevetto, creando “sementi killer”, impedendo ai contadini di fare scorte. Le sementi sono fonte di vita: si moltiplicano e si riproducono. Impedendone la moltiplicazione e lo scambio tra coltivatori, le multinazionali stanno trasformando i semi in “antisemi”.
La sovranità alimentare e la sovranità sulle sementi devono tornare ad essere nel centro del dibattito e obiettivi prioritari di ogni intervento europeo in ambito agricolo.
Le disuguaglianze tra il nord e il sud del mondo vanno debellate, ma non certamente tramite Protocolli scritti dalle multinazionali generatrici di quelle disuguaglianze. Il profitto delle multinazionali deve stare fuori dai Tavoli di lavoro.
Un Protocollo che rappresenti davvero lo slogan Expo “Nutrire il Pianeta” dovrà avere una visione lungimirante e rivoluzionaria, resa ancor più necessaria dalla constatazione che le risorse naturali non sono inesauribili e che il settore primario è alla base della sopravvivenza in pace dei Paesi sulla terra.
Un Protocollo che rappresenti davvero lo slogan Expo “ Nutrire il Pianeta” dovrà sottolineare che la sovranità alimentare determina numerosi vantaggi, tra i quali il vantaggio di ridurre sensibilmente i consumi energetici e l’impatto ambientale che ne deriva.
Un Protocollo che rappresenti davvero lo slogan Expo “Nutrire il Pianeta” dovrà proporre sistemi produttivi per:
- rinunciare al ricorso alla chimica di sintesi per fertilizzanti, diserbanti, pesticidi, che riducono il ricorso a risorse fossili non rinnovabili, che privilegiano il recupero e riutilizzo dei propri stessi scarti (altrimenti destinati a diventare rifiuti da smaltire);
- ridurre la meccanizzazione e stimolare la “miniaturizzazione” dei macchinari (in particolare di quelli utilizzati in agricoltura), diminuendo i consumi di carburanti e limitando l’impatto sui suoli, impoveriti da lavorazioni eccessivamente invadenti;
- promuovere un sistema dove le merci percorrono centinaia di chilometri in meno per arrivare dal campo alla tavola;
- abbattere sensibilmente il ricorso a sistemi di refrigerazione e conservazione;
- limitare drasticamente gli imballaggi, diminuendo anche peso e volume delle merci da trasportare.
Tutti obiettivi che non potranno mai essere portato avanti dalle multinazionali vicine ad Expo.
Domani vediamo chi discuterà e di quali contenuti, ma siamo molto scettici.