Dall’analisi svolta dal nostro portavoce monzese Nicola Fuggetta e dal Comitato Beni Comuni Monza e Brianza, è evidente come Brianzacque non abbia un’organizzazione in linea con l’esito referendario, che ha visto milioni di cittadini italiani esprimersi in favore della piena partecipazione dei cittadini alla gestione dell’acqua pubblica.
Partiamo dall’organigramma societario: salta subito all’occhio una scarsa attenzione verso gli strumenti partecipativi e di controllo. Pare che in diretta dipendenza dal Presidente vi siano solo un ufficio di Internal Auditing e uno per i Rapporti Istituzionali, ma non è nemmeno menzionata la figura del Responsabile Trasparenza e Corruzione, comunque nominato. Per non parlare del Comitato Tecnico di Controllo Analogo, previsto dall’articolo 25 dello Statuto aziendale, di cui mi domando se sia mai stato emanato il relativo Regolamento di funzionamento.
Già solo da questi primi rilievi appare evidente che la società non ha nella sua mission la trasparenza, il controllo e la partecipazione dei cittadini alla sua gestione, anche perché non è dato di sapere quali siano le procedure adottate per garantirle. D’altro canto, gli unici che hanno voluto ficcare il naso nelle vicende della società fino ad oggi, siamo stati noi del MoVimento, tramite una lunga serie di accessi agli atti.
Dall’analisi del numero dei dipendenti, delle retribuzioni e delle qualifiche appare evidente che ci sono tutte le possibilità per garantire una gestione virtuosa fondata sulla partecipazione e la trasparenza, senza che ciò determini un incremento di costi, ma solo una diversa e migliore organizzazione.
La professionalità delle risorse non è in discussione, quindi occorre individuare la modalità di impiego di queste risorse in modo proficuo e in linea con lo spirito referendario.
Purtroppo in Brianza, come in quasi tutto il resto d’Italia, lo spirito del referendum è stato tradito. Anche laddove ci sono società idriche dei comuni, queste sono nei fatti di proprietà dei partiti e non dei cittadini.
La partecipazione non è mai garantita e l’interesse pubblico va a farsi benedire. Basti pensare ad esempio all’incredibile vicenda del Master Plan di Brianzacque, che a seguito dell’istruttoria dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione, ha visto un repentino cambio di progetto con circa 50 milioni di euro risparmiati dai contribuenti brianzoli. E questo sempre grazie all’opera dei consiglieri del Movimento 5 stelle e del Comitato Beni Comuni, che avevano sollevato il caso!
La nostra lunga battaglia per fare di Brianzacque una società a totale partecipazione pubblica non è ancora terminata dato che una quota di circa il 4% è ancora in mano a società e non a enti locali. Ma anche se la società diventasse al 100% di proprietà di enti locali, non saremmo soddisfatti perché rimarrebbe comunque un ente di diritto privato, cioè una Società di Capitale (Srl).
E le scelte prese dagli organi decisionali tipici di una società di capitale non sono idonee a garantire la modalità di gestione che una società veramente pubblica dovrebbe avere.
Per questo vogliamo che Brianzaque, oltre ad intraprendere un percorso di impiego delle risorse umane che abbia come scopo la ricerca della trasparenza e della legalità, cambi il proprio assetto giuridico, trasformandosi in un’Azienda Speciale Consortile, cioè un ente di diritto pubblico.
Oltre quindi al completamento del percorso necessario affinché la società sia al 100% di proprietà di enti locali, è necessaria una riorganizzazione che faccia della trasparenza e della legalità un elemento imprescindibile della propria struttura.
Con il mancato pronunciamento del TAR in relazione al possesso o meno dei requisiti per l’affidamento del servizio in-house, si è fermato il processo di acquisizione delle quote da parte dei Comuni. La quota ancora in mano a AEB (e altri) impedisce la trasformazione in azienda speciale, obiettivo che perseguiamo da tempo e che sarà uno degli elementi fondanti della Proposta di Legge Regionale che depositerò nelle prossime settimane.
La nostra battaglia giudiziaria era finalizzata proprio a far avere i requisiti per l’in-house, per poi arrivare alla trasformazione in azienda speciale consortile, ma ciò non significa che nel frattempo la società non possa dotarsi di forme di partecipazione e controllo maggiormente performanti.
La società deve quindi cambiare rotta e seguire un percorso di riorganizzazione interna finalizzato alla costituzione di un’azienda speciale consortile. E’ questo l’unico elemento che potrebbe garantire all’acqua brianzola di rimanere veramente pubblica e sotto il pieno controllo dei cittadini! L’alternativa porterà inevitabilmente a finire nell’orbita di qualche holding di diritto privato (seppur a partecipazione pubblica), con l’obiettivo finale della quotazione in Borsa.
E a quel punto lo spirito del referendum sarà bello che morto e sepolto!
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